Il “gringo” Romano Costa è a Huelta, sperduto villaggio delle Ande dimenticato da tutti, constatando il dolore e la sofferenza di vivere in un ambiente mefitico e ostile. Non ci sono colori, a Huelta, se si eccettua un grigio che perennemente avvolge il villaggio e le cime delle montagne; non ci sono profumi, ma solo l’odore acre di un mattatoio a cielo aperto. Le persone hanno imparato a far scorrere la sofferenza della guerriglia e della prepotenza dei carabineros sulla loro pelle indurita dal lavoro e dall’aria gelida, senza più reagire. La malattia che lo costringe a letto e lo sguardo dell’india che lo cura, gonfio di rassegnazione e disincanto, abbattono il muro di distacco che egli ha eretto per difendere la sua psiche di uomo occidentale che si scontra con un territorio e un popolo violentati dal colonialismo. Il suo bisogno di fuggire si fa insopprimibile, ma il ponte verso Bogotà, miraggio di liberazione, o piuttosto di evasione dalla propria coscienza, è crollato. Ancora la violenza, stavolta quella dell’ennesima rivoluzione, può consentire l’evasione, ma a prezzo di un senso di estraneità a quella cultura che si è sempre vantata di portare civiltà e progresso in ogni terra assoggettata. Aggirandosi tra la popolazione andina Costa registra giorno per giorno la vita monotona e asfissiante del villaggio con occhi da occidentale, immettendo nella scrittura quei movimenti di regia e quelle tecniche che egli stesso utilizza nelle riprese dei numerosi documentari-reportage da tutto il mondo. Anche la lingua, quindi, testimonia e non traduce (da qui il titolo del libro, Lambras, nome di un arbusto andino); in essa spagnolo e termini locali lottano in continuazione, senza mai sopraffarsi. È una lingua disarticolata e senza freno, espressione di una psiche ansiosa che vuole e deve raccontare, per sperare di trovare pace. Romano Costa nasce a Parma nel 1933. Dopo disordinati studi comincia a collaborare alla terza pagina dell’“Avanti” e al “Ponte” di Piero Calamandrei. Si sposta tra Parigi, Parma e Milano per stabilirsi infine a Roma dove continua a collaborare con varie riviste letterarie pubblicando racconti. Diventa redattore (unico) del “Gatto Selvatico”, mensile dell’Eni diretto da Attilio Bertolucci. Nei primi anni Sessanta comincia i grandi viaggi in Africa di cui “gira” documentari per la Rai. In seguito viaggia in Asia, nelle Americhe (negli Stati Uniti, a New York, risiede per almeno due anni). Nel ’67 pubblica il suo primo romanzo La ragazza dalle braccia lunghe cui segue nel ’72 il suo secondo romanzo Aphrika (Franco Maria Ricci, 1972) iniziando a collaborare con la “Biblioteca Blu” di Franco Maria Ricci. Continua a realizzare documentari in Africa, Americhe, Asia, e nel ’75 pubblica il suo terzo romanzo, Lambras (Mondadori), cui segue, sempre per Mondadori, East Village. Nel 1981 pubblica Negro, racconti sull’Africa (Il Saggiatore), e nel ’90, per Feltrinelli, ancora un romanzo, La capanna di Calibano. Nel ’92 è la volta del libro Isola dell’orgoglio, Datanews che affronta la vita, l’arte, la storia e anche la crisi e la speranza di Cuba dopo l’implosione dell’Urss.